Fedra
Il Tempo – 22 Luglio 2003
C’è un momento per un’ attrice in cui diventa impellente il desiderio di in carnare le eroine del mito. Maria Rosaria Omaggio sta affrontando II piacere di questa avventura scenica con Fedra di Seneca, tradotta e adattata da Michele de Martino per la regia di Beppe Arena e sarà stasera ai Mercati Tralanei per l’unica tappa romana della rappresentazione, poi replicata al Festival di Sarsina il 7 agosto ad Aquileia il 20 agosto e a Cremona il 21 agosto. Contemporaneamente l’interprete é impegnata nello spettacolo La Venexiana, con II medesimo regista: una stimolante alternanza ha tragico e comico fino ad approdare il 12 settembre al FEstival di Benevento con la lettura drammatizzata del romanzo .Il mondo salvato dal ragazzini di Elsa Mosante che si lega anche a un progetto UNICEF per aiutare i bambini In difficoltà. Com’è nata la voglia di essere Fedra? •Veramente mi è stato proposto in seguito all’amicizia e alla solidarietè a prima vista che mi hanno subito legato a Beppe Arena con La Venexiana. Nel lavoro, come nell’amore si possono essere incontri fatidici destinati a recare frutti preziosi e in questo caso ho avvertito che mi trovavo a vivere un importante sodalizio artistico. Cosa le piace della celebre tragedia? .Fedra è una donna meravigliosa che prova un amore purissimo e non carnale come quello dl Medea. In realtà non compie un vero incesto perché Ippolito è il suo figliastro ed è l’unico coetaneo e suo pari con cui vive. La solitudine può essere molto pericolosa ed
è normale che susciti attrazioni insospettabili. Ippolito afferma inoltre di temere l’intelligenza femminile perché può creare temibili guai. Una frase memorabile è che i piccoli dolori riescono a parlare quelli grandi sono muti”. Sono contenuti eterni che ci aiutano a capire la nostra vita • Qual è l’impostazione dell’allestimento? -Pur rispettando l’aulicità del testo classico la recitazione è naturale e mai naturalistica. Possiamo contare su una traduzione meravigliosa che rende accessibili le parole di un filosofo come Seneca evitando tutte le asperità e i passaggi in cui potrebbe sentenzioso e meno teatrale. Un’importanza notevole è attribuita alla nutrice, ringiovanita per essere incarnata da Rachele Viggiano come se fosse la mente di Fedra creando un rapporto duplice con la protagonista. Credo che il valore di questa proposta sia nell ‘affiatamento di noi attori: ci divertitiamo veramente e l’amore con cui lavoriamo scende in platea. Aveva già recitato un ruolo classico? • Ero stata Medea in un monologo per il Teatro dell’Opera ma ho amato Fedra molto di più. Forse conta anche la differenza tra il compito di voce recitante e l’impegno di protagonista. Questo spettacolo mi ha dato immense gioie perchè sono andata nei teatri e l’emozione che si prova in quegli spazi è unica. Quali progetti per il futuro? •Desidero il ritorno al cinema e alla televisione. In autunno mi darò da fare per trovare le occasioni giuste.
Aggeo Savioli
Un corposo fantasma si aggira per l’Estate teatrale italiana di quest’ anno: Fedra di Lucio Anneo Seneca, il filosofo e drammaturgo latino (primo secolo dopo Cristo), che nelle sue tragedie si sareb-be quasi sempre richiamato ai modelli greci: qui, in particolare, allippolito di Euripide, ma forse anche a un testo di Sofocle a noi non pervenuto. Ippolito, figlio di Teseo e della defunta regina delle Amazzoni Ippolita, giovane casto e puro, devoto al culto di Artemide, dea della caccia, e sprezzante nei confronti di Venere, attrae involontariamente la passione della seconda moglie del padre, Fedra, appunto. Costei, vedendosi da lui respinta, lo accu-sa per rivalsa di averla violentata. Inseguito dalle maledizioni del geloso genitore, Ippolito muore in
terribili circostanze. Disperata, Fedra si toglie la vita. Non per nulla, le opere senechiane furono indaga-te e imitate dagli autori elisabettiani più inclini al genere horror. D’altro stampo l’ispirazione che da Euripide, ma più ancora da Seneca, avrebbero tratto, nel Seicento Iran Patine, nel Novecento il nostro D’Annunzio, il cui lavoro sarebbe stato poi rivestito di note da Ildebrando Pizzeiti, amico e sodale. Ma il titolo senechiano mantiene una sua autonoma validità, tanto da sfatare l’inveterata credenza secondo la quale quelle tragedie sarebbe-ro state destinate, e meglio comunque si prestereb-bero, più alla lettura che alla rappresentazione. Di certo, ben si impone oggi sulla scena l’allesti-
mento che ci è stato proposto per la traduzione e l’elaborazione di Michele Di Martino, con la regia di Beppe Arena (che firma pure le luci, le musiche, rare quanto pertinenti, e i costumi). A Roma, lo spettacolo ha sostato per una sola sera, nel conge-niale spazio dei Mercati Traianei. Nel corso di agosto, saranno toccati ancora diversi luoghi del Centro-Nord, ed è da sperare in un buon afflusso di pubblico. La compagnia che agisce, cimentandosi su un te-sto davvero non facile, proprio per la densità della scrittura, e per la sottile articolazione della vicen-da tra i personaggi principali e l’onnnipresente Coro, è infatti degna di lode. Vi ha giusto spicco Maria Rosaria Omaggio, attrice di varia esperien-
za, qui impegnata, con bell’impeto vocale e gestua-le, ma anche con sobria misura, quando occorra, nel ruolo di protagonista. Le figure maschili, pa-dre e figlio rivali, si affidano a Gabriele Tuccimei e Dino Spinetta, traendone efficace risalto. Rachele Viggiano, Maricla Sediari, Daniela Coelli, Liliana Randi completano il quadro, con una presenza tutta femminile che comprende la Nutrice, classi-ca confidente di Fedra, e il Coro.